Point Break: le Otto prove di Ozaki non esistono

Point Break è un film che ha segnato generazioni di appassionati di sport adrenalinici. Surf, snowboard, paracadutismo, motocross, arrampicata. Qualsiasi attività rischiosa che ti metta a contatto con la natura.

Il remake di Point Break è fatto bene, scene d’azione sufficientemente credibili e una valida colonna sonora.

Il film ruota intorno alle Otto prove di Ozaki (“The Ozaki 8” (or Ozaki Eight)).
Prove che non esistono nella realtà.
Le Otto prove di Ono Ozaki sono state inventate solo per il film.

Teoricamente Ono Ozaki è un super atleta che ha ideato 8 prove estreme di incredibile coraggio e spiritualità per raggiungere, alla fine, l’illuminazione. Lo stesso Ozaki sarebbe morto alla terza prova.

Basta fare una ricerca su internet per… non trovarne traccia. Ed è un peccato perchè nel film avrebbero invece potuto fare riferimento a qualcosa di reale. A una serie di prove di coraggio che di certo, nella mitologia e in tante religioni, non mancano.

Ma questo è il punto. Le Otto prove di Ono Ozaki sono state inventate proprio per non “offendere” in alcun modo nessuna religione, credenza o… mitologia.

Quando si parla poi di “sport estremi” si attira sempre l’attenzione. Di quasi chiunque. Se vuoi sorridere prova a farlo con Amazon: se fai una ricerca con “sport estremi” ti uscirà davvero di tutto. Evidentemente ognuno di noi ha la sua versione di “estremo”.

2 commenti su “Point Break: le Otto prove di Ozaki non esistono”

  1. Il film però è bello, non è da meno rispetto al Point Break precedente. Gli attori non assomiglieranno a quelli storici ma la trama è avvincente e le prove di Ozaki… beh, una trovata cinematografica che comunque ci sta.

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  2. E grazie al ca…rlo.
    è un’opera di finzione, e come tale contiene cose inventate. Non è mica una novità.
    Esistono realmente liste di prove estreme? Forse, ma perché andare a collegare macchinosamente (col rischio di fare sciocchezze) una lista alle tue esigenze, quando puoi comodamente crearla da zero?

    Certo che chi fa giornalismo, di scrittura creativa non capisce una cippa.

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